Il tormento dell’esilio il Divin Poeta lo vive da 700 e rotti anni. Un’affermazione con la quale si può essere in disaccordo solamente se non si conosce la vicenda travagliata delle spoglie di Dante. Una storia che è sacrosanto far partire nel momento in cui termina l’esperienza terrena dell’uomo, dell’illustre personalità, del mito. Spentosi nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, il fiorentino di nascita viene sepolto in un sarcofago all’interno del chiostro di Braccioforte, nella Ravenna che lo accolse e lo fece sentire a casa per un triennio, l’ultimo scorcio della sua vita.
Non passò neppure troppo tempo che Firenze, conscia dell’importanza di quella figura che con troppa impellenza si era giudicata corrotta, iniziò a richiedere con fare diplomatico il rientro delle ossa. Tre volte la richiesta bussò alla porta ravennate nell’arco di 80 anni: la prima nel 1396, la seconda nel 1428 e la terza del 1476. Ravenna però resistette alle pressioni, conservando le ossa del poeta all’esterno della Basilica di San Francesco. La resistenza sembrò fatalmente decadere quando al soglio pontificio (di cui Ravenna, è bene ricordarlo, era suddita) salirono due papi Medici, prima Leone X (1513-21) e poi Clemente VII (1523-34). Leone X fu chiarissimo nelle intenzioni: le spoglie di Dante dovevano tornare a Firenze, in un mausoleo appositamente realizzato da nientemeno che Michelangelo Buonarroti.
Perciò delegati fiorentini giunsero nella città romagnola per prendere in consegna le reliquie. Quando i messi aprirono il sarcofago, restarono a bocca aperta. I resti non c’erano più! Si seppe in seguito che i frati francescani, pur di contravvenire all’ordine papale, avevano praticato un foro sul muro confinante con il sepolcro per prelevare le spoglie. A nulla servirono i richiami di Sua Santità e di tutta l’ecclesia romana/fiorentina. Dante da Ravenna non si muoveva. Anzi, quando la “crisi” rientrò, i chierici spostarono il sarcofago all’interno del chiostro conventuale. La sorveglianza divenne una costante per i successivi decenni.
Nel 1781 l’architetto Camillo Morigia progettò l’attuale mausoleo e solo allora i frati francescani accettarono l’idea di traslare le ossa. L’importante alla fine era non farle uscire dal territorio ravennate. Comunque di lì a poco la tempesta napoleonica si sarebbe palesata in tutta la sua rivoluzionaria capacità. 1796 Campagna d’Italia; 1810 un decreto in seno al Regno d’Italia sopprime tutti gli ordini religiosi. I frati devono fare le valigie, ma trovano lo spazio per le spoglie di Dante, che certamente non devono finire tra le mani delle giubbe bonapartiste. All’idea di portare le ossa con loro, sopravanza quella di nasconderle all’interno di una cassa di legno, a sua volta murata in una delle pareti del chiostro. E comunque i frati avevano avuto la premura di targare quella cassetta con un chiaro “Dantis ossa a me fra antonio sarti hic posita anno 1677 die 18 octobris“.
In qualche modo ci si dimentica della faccenda fino al periodo post-unitario. Si affaccia il 1865: Ravenna annuncia i lavori di restauro del mausoleo per il VI centenario della nascita del Sommo Poeta. Uno dei manovali si imbatte nella cassa di legno ma c’è un problema, l’uomo è analfabeta e non riconosce la scritta. Le spoglie di Dante perciò si avviano verso il baratro di un ossario comune, quando un eroe con gli occhiali, tale Anastasio Matteucci, che il latino eccome se lo mastica, nota quel “Dantis ossa” e salva la situazione. Per i 600 anni dalla nascita, lo scheletro di Dante è ricomposto ed esposto al pubblico, salvo poi ritornare nell’oscurità del suo mausoleo.
Tutto è ben quel che finisce bene… Eh no! Perché nell’agosto 1944 le bombe alleate caddero sul suolo ravennate. Qualcuno pensò bene di risparmiare alle ossa dantesche la triste sorte toccata ad alcuni dei monumenti bizantini più importanti della città. Si creò perciò un tumulo di terra ben riconoscibile, sotto il quale nascondere la cassetta. Un cartello segnalava la presenza delle spoglie, perciò nel ’45 tutto tornò alla normalità e Dante, dopo circa sette secoli di tormento, poté crogiolarsi per l’ennesima volta nell’eterno riposo, che tanto “riposo” non è stato. Ah, per la cronaca, il comune di Firenze ogni tanto prova a richiedere il prestito delle reliquie, ma Ravenna continua a fare muro. Chissà perché…