Secondo la scienza medica un’estensione vocale umana non può raggiungere le quattro ottave. Alcuni artisti invece sono convinti che il traguardo delle cinque ottave sia quantomeno palpabile. Considerazioni che negli anni ’50 si sciolsero come neve al sole, quando non poche personalità di spicco, facenti parte del mondo della musica, ascoltarono la voce di Yma Sumac, la “figlia del Sole” che palesava in tutto il suo splendore otto ottave. Ma queste sono leggende, ed è bene metterlo nero su bianco. Che poi l’artista peruviana avesse una voce fuori dal comune, nessuno può negarlo. Ma su di chi stiamo concentrando le nostre attenzioni?
Zoila Augusta Emperatriz Chávarri del Castillo nasce tra gli altipiani peruviani di Cajamarca nel 1922. Della sua infanzia non si sa moltissimo, se non che la sua voce, considerata di ispirazione divina, riuscisse ad entrare nel cuore di chiunque l’ascoltasse. Ed è ciò che accadde quando furono le orecchie di Moisès Vivanco de Allende ad udire quel canto raro, durante un evento folkloristico canoro nel 1938. Dall’ammirazione professionale a quella personale il passo fu breve. Vivanco credeva nella giovane Zoila Augusta e volle dedicarsi anima e corpo a quel progetto che aveva tanto chiaro in mente: rendere quella voce indimenticabile.
Quattro anni dopo il primo incontro i due si sposarono. Sempre nel 1942 la ragazza assunse il nome d’arte Yma Sumac, che in lingua Quechua significa letteralmente “che meraviglia”. Un nome prestigioso, visto il suo diretto collegamento con la spiritualità Inca e con il culto del Sole. Yma Sumac non doveva presentarsi come una semplice cantante di talento, ma come portatrice di un messaggio divino, in quanto sacerdotessa Inca, in quanto rappresentante di un popolo (che però non provò mai particolare amore per l’artista…). Il marito Vivanco lavorò da agente, e come tale curò gli interessi professionali della sua moglie/assistita, talvolta inventando di sana pianta storie sul suo passato. Falsità che in più di un’occasione gettarono fango sulla comunità in cui Yma era nata e cresciuta (spesso indicata come rozza, selvaggia e primordiale).
Il successo di Lima le stava stretto. Yma (forse più Vivanco) sognava l’America a stelle e strisce. Lei e il suo gruppo si esibirono negli States dal 1946 ma la previsione della vigilia non fu rispettata. Sì, come sempre quella sua voce distintiva fece breccia, eppure mancava qualcosa. Così, sotto la spinta del marito/agente, Yma Sumac divenne sinonimo di esotismo, occulto spirituale, trascendenza sacra al servizio dell’arte canora, il tutto immerso nel contesto del genere musicale esotico, in voga nei primi anni ’50. L’esperimento funzionò e la platea di ascoltatori aumentò.
Le performance di Yma Sumac andavano oltre l’esotico, toccando anche spazialità tipicamente operistiche, volteggiando tra note estremamente gravi e altre così acute da registrare record sensazionali. Con cautela e molte virgolette, si dice come nel singolo Chuncho, del 1952, la Sumac abbia raggiunto l’acuto più alto mai registrato per una voce femminile. Il resto lo fecero i suoi sfarzosi gioielli, le sue vesti tradizionali, i suoi occhi folgoranti. Anche la rapace Hollywood di quegli anni notò la “sacerdotessa Inca delle Ande peruviane”. La Industry le propose un ruolo nella pellicola “I predatori dell’Arca perduta” e ancora in “Secret of the Incas“.
Nonostante il successo internazionale, dalle parti di Cajamarca ebbero sempre da ridire sull’immagine che la Sumac forniva della sua gente, un quadro distorto, non veritiero. Le scuse ripetute negli anni dall’artista non servirono mai fino in fondo. Dopo gli anni ’70 la carriera della cantante tramontò inesorabilmente. Prima del 2008, anno della sua dipartita, volle ricongiungersi finalmente con la sua terra, seguendo le indicazioni della tradizione peruviana (ognuno ripercorre i passi più importanti della propria esistenza prima di salutare questo mondo). Yma Sumac fu una figura controversa del secondo Novecento, spettacolarizzata oltre modo, tuttavia, anche se nessuno credette davvero alle otto ottave, bisogna riconoscerle un posto d’onore nell’olimpo delle voci più travolgenti di sempre.