Il 4 settembre del 1260 va in scena uno scontro ideologico e politico prim’ancora di palesarsi per quello che è: una battaglia. Si tratta dell’espressione concreta dell’astio tra papato e impero, dell’antica ostilità tra potenti entità territoriali, manifestazione tangibile dell’antagonismo tra Siena e Firenze, non proprio due amici che si ritrovano dopo tanti anni in un pub per bersi una birra e scambiare qualche parola cordiale. La Battaglia di Montaperti, impressa nella memoria di molti anche grazie al contributo dantesco, fu essenzialmente questo.
Fonti coeve che ci raccontino l’episodio non esistono e chi scrive di quel giorno tardo estivo lo fa a distanza di decenni, non senza nascondere la propria faziosità. Detto ciò, sembra chiaro a tutti come a Montaperti la fiamma della vittoria sia scesa sul capo dei ghibellini senesi, tali solo perché a Firenze si protendeva per la tiara; semplice scelta per contrasto. Il mondo viveva di queste contrapposizioni. Sebbene della lotta armata non si sappia tantissimo, se non che tanto sangue fu sparso, colorando di rosso il fiume Arbia (“Lo strazio e ‘l grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso…” – Dante, Inferno X, 85), è interessante vedere in che modo si giunse a quella resa dei conti.
Facciamo perciò non uno, bensì due passi indietro. Un vero primo dissidio va ricercato nell’anno di grazia 1228. Firenze assedia Pistoia; la prima è sostenuta da Lucca, Prato e Voilterra, la seconda invece vede l’appoggio di Siena, Pisa e Poggibonsi. Sia chiaro, è più di uno scontro tra guelfi e ghibellini propriamente detti. Meglio definirla come una controversia armata mossa da interessi politici e regionali, favori non contraccambiati e sottotrame non del tutto definite. A dimostrazione di ciò, nel comune gigliato si definiranno “guelfi” meno di vent’anni dopo. Lo scontro, che non vede né vincitori né vinti, è seguito da una fase di delicata mediazione e “dialogo” (le virgolette dovrebbero essere molte di più).
Tuttavia l’equilibrio è instabile e tutto ricade nel baratro del conflitto verbale/armato nel dicembre del 1250. Muore Federico II di Svevia, muore lo Stupor Mundi, la sua discendenza non regge il passo. Il figlio Corrado IV lo segue nell’Oltretomba quattro anni più tardi. L’impero successivamente passerà agli Asburgo (dopo l’interregno che perdura fino al 1273) ma il vero nocciolo della questione è la Sicilia. Il trono passa ad un figlio naturale di Federico, Manfredi. Quest’ultimo cercherà per vie diplomatiche di ottenere un riconoscimento da Roma, fallendo sia con Innocenzo IV, sia con il successore Alessandro IV. Trovando un muro da una parte, Manfredi tenderà la mano verso chi quel muro voleva abbatterlo con la forza: Siena.
Il culmine di quella tensione nata dalla morte di Federico II è proprio la Battaglia di Montaperti. Gli schieramenti sono sorti, si sono compattati. Firenze e il papa fronteggiano Siena e il re di Sicilia, Manfredi. In realtà prima del suddetto settembre 1260 il tempo è scandito da avvenimento di notevole importanza, che per motivi logistici riassumiamo in modo becero: Siena fa saltare un accordo per il quale nessuna delle due fazioni avrebbe dovuto accogliere quinte colonne provenienti dai rispettivi schieramenti. Quando la Repubblica di Siena abbraccia dei fuoriusciti ghibellini fiorentini, la stretta di mano diventa un lontano ricordo. È guerra.
Si combatte prima a Santa Petronilla, sotto le mura di Siena. Non si sa bene chi vinca e le fonti, essendo di parte, si affrancano ciascuna del trionfo. Questo è un assaggio del massacro di Montaperti, in cui due grandi coalizioni vengono definitivamente alle mani o, per meglio dire, alle armi. Vincerà Siena, vincerà Manfredi, ma saranno vittorie effimere, come il tempo dimostrerà neppure ad un decennio di distanza.