Ormai ci siamo abituati alla ricchezza archeologica e culturale di Saqqara, la quale non smette mai di stupire grazie a tesori di inestimabile valore, quantificabile, sia chiaro, non secondo un parametro pecuniario. L’area, interessata da una missione archeologica congiunta Egitto-Giappone, ha visto il riaffiorare di diversi reperti molto interessanti, di cui ovviamente vi parlerò nelle seguenti righe. Procediamo dunque in questo viaggio tra le dorate dune e le vestigia di un passato che respira e vive come mai prima d’ora.
La suddetta missione si è fregiata della scoperta di un’area cimiteriale rupestre in cui spiccano componenti architettoniche arcaiche e reperti provenienti da epoche notevolmente distanti tra loro. Tutto ciò sulla cima della zona denominata “Katacomb”, una sezione minore dell’area archeologica di Saqqara. Ricordiamo come quest’ultima si trovi ad una trentina di chilometri a sud del Cairo.
Gli esperti suggeriscono come il complesso funerario nasca durante il periodo della II dinastia. Lo si può intendere osservando i dettagli delle ceramiche varie, delle lastre decorative e la conformazione stessa delle sepolture. Elementi, questi, tipici dell’Età Arcaica egizia, alla quale alcuni si riferiscono con il nome “Periodo Protodinastico” (2925 – 2700 a.C. circa). Il direttore generale dell’archeologia a Saqqara, nonché capo del gruppo egiziano impegnato nella campagna di scavi, dr. Mohamed Youssef, ha fornito un’accurata descrizione dei reperti ritrovati.
Egli si concentra in primo luogo sulle sepolture, affermando come si tratti di una duplice scoperta: una inerente alla tomba maschile con la presenza di una maschera funebre; l’altra relativa ad un ragazzo dall’età non meglio definita. Le inumazioni sono, come anticipato, differenziate a livello temporale. Si trovano anche sarcofagi, come quello interno ad una struttura tombale in alabastro, della XVIII dinastia (1543-1292 a.C.).
Allo stesso modo prende parola l’altro vertice della missione, ovvero quello nipponico, Nozumo Kawai. Il ricercatore si sofferma sul ritrovamento di oggetti più piccoli nella dimensione ma egualmente “grandi” per importanza. Sarebbero emerse dalla sabbia di Saqqara statuette in terracotta forti di una tinta incrollabile di fronte all’azione degradante del tempo. Oltre alle raffigurazioni di Iside, gli archeologi hanno posato il loro sguardo su piccoli idoli e ushabti (minuscole realizzazioni scultoree, anch’esse in terracotta, dalla funzione funeraria). Mi dedico per un secondo a quest’ultime, affascinanti per significato. Per l’antico culto egizio, tali statuine sostituivano i defunti nei momenti più impervi del viaggio post mortem. Un’assicurazione valida nell’aldilà praticamente.
Cosa ci dicono questi ritrovamenti? Beh, che l’Egitto non è solo piramidi e sfingi (non che qualcuno lo pensi… Si spera). Inoltre tali progressi archeologici permettono una sempre più accurata analisi dei tempi arcaici, di cui ad oggi non si sa moltissimo. Eppure, un passo alla volta, si può sopperire in modo costruttivo e scientifico ad una mancanza del genere. Saqqara è la prova provata del fenomeno appena descritto.