È l’aprile del 1822, il console britannico di stanza a Costantinopoli, Sir Charles Lewis Noel, riceve comunicazioni esatte dai suoi osservatori, operanti nella turbolente e riottosa terra ellenica. Da almeno un mese (quindi da marzo) sull’isola di Chio è esplosa una polveriera e tutti temono una cosa: il pugno duro degli Ottomani. La paura non è solo lecita, ma razionale; gli eventi di quello che è passato alla storia come il Massacro di Chio lo dimostreranno.
Non è un caso se ho citato il lord inglese. Egli sarà autore di un resoconto dettagliato inerente i fatti di sangue chiani, fonte tanto accurata quanto fondamentale per la comprensione dell’episodio. Attraverso le sue parole, cercherò di inquadrare prima il contesto storico entro il quale si muove la ribellione, per poi analizzare quest’ultima in tutta la sua dolorosa parabola. Cos’era Chio prima dell’eccidio del 1822? Non ripercorrerò tutta la storia dell’isola situata al largo delle coste anatoliche, ma ci basti sapere che per quasi due millenni fu un importantissimo snodo marittimo-commerciale. Punto d’unione tra il Mar Nero, l’Egeo e il Mediterraneo orientale. Sotto la Sublime Porta (il cambio della guardia avvenne nel 1566, quando i turchi strapparono l’isola ai genovesi) Chio mantenne una sorta di autonomia mercantile che non intaccò la sua autorità, soprattutto per quello che riguardava il mastice (particolare resina ricavabile esclusivamente dalle piante dell’isola).
Tali erano gli interessi in gioco che, al momento dei primi venti di sommossa ellenica, la classe dominante di Chio non volle assecondare gli indipendentisti. Troppo importanti erano le relazioni economiche con Costantinopoli. Un’appiglio, questo, che divenne sempre più scivoloso, a maggior ragione di fronte alle pressanti prerogative turche sul comando commerciale dell’isola. Di insurrezione si è parlato, per l’appunto. Tanti furono gli irredentisti greci che dal 1821 approdarono sulle isole di Chio e Samo per incitare al moto contro il turbante. A Chio attecchirono parecchio, anche se non tutta la popolazione volle partecipare alla lotta armata. La memoria della pax ottomana durante per tre secoli era freschissima.
L’ammiraglio Nasuhzade Ali Pascià, comandante della guarnizione, fu costretto a ritirarsi sulla cittadella fortificata. I suoi uomini, inizialmente poco meno di 7.000, non riuscivano ad arrestare il disordine. Ali Pascià chiese rinforzi e dalle parti del Bosforo presero la cosa sul serio. Si decise per l’inflessibile linea dura, forse anche per lanciare un segnale contro la ribellione dilagante in tutta la Grecia. Nel corso dei mesi le truppe del sultano aumentarono a dismisura, raggiungendo i 40.000 uomini d’arme ai primi di giugno. Il 31 marzo l’ammiraglio ricevette l’ordine: distruggere tutte le abitazioni presenti sull’isola, decapitare in pubblica piazza tutti gli uomini, togliere la vita ai bambini dai 3 anni in giù e dai 12 anni in su. Stessa sorte sarebbe toccata alle donne sopra i 40 anni che non avessero abbracciato il credo di Maometto.
Qui di seguito i freddi numeri del Massacro di Chio: circa 20.000 morti, con altri 23.000 che optarono per l’esilio. Si materializzò in tutta la sua tragica natura la cosiddetta “Diaspora Chiana“, che aveva come direzione principale l’Europa. Non pochi ragazzi, forse inconsapevoli (perché piccolissimi) del sangue versato, finirono per essere adottati da facoltose famiglie ottomane. Gli stessi ragazzi convertiti all’Islam che un giorno, neppure troppo lontano, sarebbero diventati personaggi di spicco dell’impero, ricoprendo cariche politiche/militari non indifferenti. Esempi noti sono quelli di Mustapha Khaznadar (nato Georgios Stravelakis) e İbrahim Edhem Pasha, Gran Visir dal 1877 al 1878.
Gli indipendentisti greci risposero alla violenza con altrettanta violenza. Le forze al comando dell’eroe, poi sei volte primo ministro, Konstantinos Kanaris, fecero saltare in aria l’ammiraglia turca, causando la morte di quell’Ali Pascià che per primo aveva messo in pratica le crudeli disposizioni del sultano. Il Massacro di Chio fu un’ulteriore miccia che fece esplodere ancor di più l’ardore della rivoluzione, un fuoco che si sarebbe sopito solamente 8 anni dopo, nel 1830, con la tanto agognata dichiarazione d’indipendenza greca. Ma le voci della disgrazia chiana raggiunsero in fretta l’Europa, colpendo l’animo di grandi intellettuali ed artisti. Eugène Delacroix dipingerà Le Massacre de Chios, in memoria di quel macello dal sapore primaverile, durante il quale sulle strade brecciate dell’isola sgorgò scarlatto il sangue ellenico.