L’Europa fece la diretta conoscenza delle popolazioni indigene provenienti dalla Patagonia solamente nell’ultimo quarto del XIX secolo. Uomini, donne e bambini approdarono nel Vecchio Continente come merce, rara per di più. Il destino – o meglio, l’insaziabile appetito etnologico europeo, deviato da una naturale contrapposizione razziale nei confronti degli “altri” – riserbò ai membri delle tribù Tehuelche, Kawésqar e Selk’nam l’esposizione nei classici zoo umani, tipici delle più grandi città come Londra, Parigi, Berlino e via discorrendo.
Delle cosiddette “esposizioni etnologiche” vi abbiamo già parlato in passato. L’intento odierno è un altro, anche se correlato: osservare da vicino il corso declinante di un’etnia, quella Selk’nam, che per millenni visse in pace nel rispetto della tradizione, fin quando l’uomo bianco non giunse per conquistare, uccidere, decimare, annullare quanto di culturale poteva risiedere in una comunità identica a se stessa da tempo immemore. I Selk’nam, anche noti come Ona, abitavano gli estremi lembi della Terra del Fuoco; in quella Patagonia meridionale che metaforicamente colpì Magellano per via dei numerosi falò accesi dalle popolazioni native lungo la costa frastagliata, fuochi che rimasero particolarmente impressi nella memoria dell’esploratore portoghese.
Gli Ona chiamarono casa quella terra all’apparenza inospitale per millenni. Essi si stanziarono nell’area a seguito dell’ultima grande glaciazione, all’incirca 12.000 anni fa, mantenendo invariato nel tempo uno stile di vita caratterizzato dal semi-nomadismo e dalla caccia. Non conobbero lo sviluppo tecnologico che dalla pietra portava alla lavorazione dei metalli come il rame, poi il bronzo, ecc… I primi occidentali con i quali vennero a contatto, scrissero dei resoconti dettagliati sul loro modo di vivere e intendere il mondo. Dotati di un’altezza superiore alla media (1.74 m), erano soliti dipingersi il volto così come il corpo durante le cerimonie, in cui la spiritualità profonda era collegata a doppio filo con la creazione e la vita stessa dell’universo.
Millenni di pace, interrotti in un’epoca ben delineata: l’arrivo dei cacciatori d’oro e la nascita dei primi allevamenti di pecore nel XIX secolo. Il copione è quello a cui siamo tristemente abituati. L’area dei Selk’nam si ridusse progressivamente, a favore dei rancheros argentini e cileni, talvolta incentivati dai governi a sterminare i nativi. Se il colono di turno avesse consegnato nelle opportuni sedi le orecchie dell’indigeno (trofeo di caccia) avrebbe ricevuto una ricompensa in denaro. Dove l’ho già sentita questa…
Ma lo sterminio programmato andò avanti non solo col fragore dei fucili, ma anche per via delle malattie. I missionari salesiani furono i principali responsabili delle epidemie di vaiolo e morbillo.
In modo secco e conciso presentiamo qui di seguito i resoconti sulla popolazione stimata di etnia Selk’nam. 1896, Alejandro Cañas ci parla di circa 3.000 individui. 1919, l’etnologo e antropologo austriaco Martín Gusinde ne conta 279. 1945, padre Lorenzo Massa ferma il conteggio a 25 individui. Nel 1974 muore l’ultima Selk’nam. Oggi sono estinti. Simbolo di una catastrofe che si ripete anche nella contemporaneità e per la quale pagheremo il conto quando ormai sarà troppo tardi.