“Cart Ruts”, “linee di Malta”, “Solchi di Carro“, può cambiare il nome ma la sostanza è sempre la stessa. Un mistero, all’apparenza irrisolvibile, da secoli sopravvive sul territorio maltese. Solchi paralleli scavati nel substrato calcareo che si snodano come un intreccio ferroviario, tanto che uno dei ricercatori li ha ribattezzati “Clapham Junction” in ricordo dell’intricata stazione ferroviaria londinese situata a Wandsworth. Cosa sono? Chi li ha costruiti? Come? Da queste premesse, tenterò di sviluppare un discorso che possa comprendere tutte le ipotesi (valide) fin qui addotte. Iniziamo.
I “Solchi di Carro” si possono riscontrare un po’ ovunque nell’arcipelago maltese, perché presenti anche sull’isola minore di Gozo. Una maggiore concentrazione però è evidente sul sito preistorico di Misraħ Għar il-Kbir, nel sud dell’isola. Le strisce possono vagamente ricordare le Linee di Nazca o i giganteschi cerchi di pietra in Medioriente, ma la differenza sostanziale sta nel significato assunto da ognuno dei diretti interessati. Mentre quest’ultimi hanno uno scopo essenzialmente divinatorio o comunque spirituale/religioso, i solchi maltesi sembrano rispondere a tutt’altra necessità.
Nate non più tardi del VIII secolo a.C. (anche se il dibattito archeologico è acceso in tal senso, con ipotesi temporali ben più remote: si parla di II millennio a.C.), le tracce nella roccia potrebbero essere state utilizzate – dai Fenici – per attività diverse tra loro. In media le linee sono profonde 15 centimetri, anche se in alcuni tratti la profondità aumenta fino a 60 centimetri. La distanza tra esse varia dal metro al metro e mezzo circa. Dati alla mano, è comprensibile pensare come siano state le ruote dei carri a realizzarle. Ruote in costante passaggio sullo stesso percorso non per decenni, ma per secoli e secoli.
Ipotesi minori, ma comunque plausibili, affibbiano ai “Solchi di Carro” un significato cultuale e astrologico, vista la loro vicinanza all’area megalitica di Hagar Qim. Le prove a supporto di questa teoria sono molto scarse, per non dire carenti. Una parte della comunità archeologica invece vede nei tracciati un antico sistema per l’incanalamento dell’acqua, a scopo d’irrigazione. Anche in questo caso le argomentazioni a sostegno sono fallaci – ad esempio le zone in cui si stagliano i solchi mal “sopportano” la presenza di campi coltivabili.
A rendere il tutto ancor più dubbio e sospetto (ed è in queste pieghe che si insinua il germe del complottismo…) è la destinazione di alcuni segmenti. Sì, perché parte di essi finisce nel mare; l’esempio perfetto sono i Solchi di Carro nella Baia di San Giorgio (nella foto sottostante). Non solo si “gettano” tra le acque marine, ma proseguono anche oltre, fin quando la soglia rocciosa non finisce per sprofondare ulteriormente.
Una risposta a questa tendenza, onestamente, non è ancora stata trovata, ma gli archeologi sono al lavoro da tempo immemore oramai. Tra questi troviamo il Professor Mottershead dell’Università di Portsmouth. Egli sostiene come “Il calcare tenero di cui è composto buona parte del terreno maltese è debole. Quando esso si bagna, perde circa l’80% della sua solidità. I carri tracciarono i solchi nel terreno, ma quando questo giunse ad erodersi, le ruote dei mezzi iniziarono ad incidere il substrato roccioso, rendendo più facile per gli altri carri seguire lo stesso identico percorso.”