Degli scavi, condotti sulla base di un progetto di sviluppo stradale tra le cittadine alsaziane di Sand e Benfeld, hanno permesso il rinvenimento di 15 tombe risalenti ad un periodo non meglio definito tra il XV e il XVIII secolo. All’interno di esse gli archeologi, subentrati agli operai nel momento della scoperta, hanno trovato la bellezza di 18 scheletri, molti dei quali decapitati o con evidenti segni di natura traumatica.
Gli esperti, già incuriositi dal ritrovamento in sé, hanno segnalato un’altra grande anomalia. Le tombe che accoglievano questi corpi, mezzo metro sotto il suolo, sono predisposte secondo uno schema poco chiaro, non delineato per così dire. Il che fa storcere il naso, visto che la predisposizione dei sepolcri all’interno di un cimitero tradizionale segue sempre un pattern geometrico e spaziale prestabilito.
Bastien Prevot, esperto archeologo in ambito medievale e moderno, ha commentato così la scoperta: “Queste tombe non rispettavano un orientamento preciso, contrariamente alle sepolture comuni dell’epoca. Quindi si doveva indagare su elementi anomali”. Osservando da vicino uno dei 18 scheletri, Prevot alimenta le perplessità attorno all’origine del luogo: “Ad esempio, su quest’osso, che è il midollo spinale, abbiamo tracce di un taglio eseguito con una lama molto affilata. Si tratta, quindi, di una persona che è stata giustiziata per decapitazione”.
Addirittura, attraverso analisi approfondite, si è riusciti a descrivere la sequenza temporale di un seppellimento. Prima la gamba, poi la testa e infine il resto del corpo di un malcapitato avrebbero trovato “riposo” all’interno della tomba. Qualcuno avrebbe sentenziato l’individuo legandogli i polsi. I 18 scheletri alsaziani hanno generato un numero di domande impressionante, ma recenti sviluppi potrebbero considerarsi rivelatori, anche in modo definitivo.
Il ritrovamento di una mappa della zona, datata 1632, rivela la presenza di un patibolo sulla strada che da Sand porta a Benfeld. Ad avvalorare la scoperta ci sarebbe anche una testimonianza locale. Un residente ha raccontato agli archeologi come il campo attorno al quale stavano operando i studiosi una volta prendeva il nome di Galgen, che in italiano traduciamo con “forca”. Una conferma a quanto ipotizzato grazie alla mappa.
Sembra che il mistero dei 18 scheletri alsaziani abbia trovato la propria soluzione. Un grazie enorme ancora una volta va agli archeologi. Quest’ultimi, con impegno e dedizione, aiutano l’intera comunità a riscoprire tracce di un passato che altrimenti rimarrebbe “sepolto”. Non è una cosa da poco e lo sosterremo finché avremo le forze per farlo.