Per quanto ci si possa sforzare, delle volte preservare delle opere d’arte può diventare un’impresa assai ardua, se non impossibile. Qui non si vuole fare i fatalisti di turno – sia messo agli atti – ma è la semplice ed evidente presa di coscienza di fronte alla portata di alcune catastrofi che hanno comportato danni incalcolabili nella storia, in termini umani, economici e, perché no, culturali. Tragici incidenti, conflitti su larga scala, furti: sono solo alcune delle cause di distruzione e irreperibilità di opere nate da grandi maestri dell’arte. Di questi manufatti così preziosi spesso resta solo qualche foto, magari degli abbozzi, meno frequentemente dei rifacimenti. Esempi noti ne esistono a carriole, ma per l’occasione ne analizzeremo cinque. Dunque ecco a voi 5 splendide opere d’arte andate perdute per sempre.

1 – Gli spaccapietre (Les Casseurs de pierres), Gustave Courbet, 1849.
Gustave Courbet associò la sua pittura, il suo innato talento artistico, alla miserevole condizione dei più umili, degli sfruttati, di chi non può scegliere della propria vita. Per gran parte dell’Ottocento, il pittore rappresentò scene di lavoro massacrante, in cui i protagonisti erano tanto i manovali stessi, quanto le varie e molteplici forme d’oppressione scaturite dal sistema sociale vigente. Con queste convinzioni dipinse Gli spaccapietre, poveri uomini condannati ad un’occupazione durissima e ad un compenso pressoché insulso. Opere come queste polarizzavano in Francia e altrove, generando polemiche su polemiche.

Nonostante ciò, il dipinto terminato nel 1849 girò parecchio. Tra case d’asta, musei e collezioni private, intorno al 1909 trovò finalmente una sua collezione definitiva, nella Gemäldegalerie di Dresda. Oltre alle quasi 140.000 vittime del bombardamento di Dresda, avvenuto il 13 febbraio 1945, si segnalò anche la distruzione della tela. Fortunatamente Courbet ne realizzò una copia, non proprio identica (variano i colori, le posture degli operai e l’inclinazione della prospettiva), oggi conservata in Svizzera.
2 – Natura morta: Vaso con cinque girasoli, Vincent van Gogh, 1888.
Gli esperti riconoscono un totale di undici dipinti realizzati da van Gogh durante la sua vita e aventi per soggetto dei fiori di girasole. A parte qualche dubbio sulla paternità di due di essi (attribuibili a Gauguin o a Schuffenecker), gli altri portano tutti il contrassegno del pittore olandese dall’animo ombroso. Una tela in particolare, chiamata Vaso con cinque girasoli, finì al centro di una turbolenta vicenda iniziata nel 1920. Il collezionista d’arte giapponese Yamamoto Koyota comprò il quadro in quell’anno. La spedizione dalla Francia al Giappone filò liscia; più difficoltosa fu l’esposizione in mostra.

Agli inizi del 1921, durante la seconda esposizione ad Osaka, il dipinto cadde a terra e si danneggiò. Gli organizzatori imputarono la colpa alla pesantezza della cornice arancione. Koyota pensò che qualcuno avesse volontariamente fatto cadere il quadro. Amareggiato ed offeso, il proprietario tenne “nascosto” l’amato van Gogh nella sua residenza di Ashiya. Quando iniziarono i bombardamenti statunitensi nel ’45, il collezionista chiese alla banca di custodire il quadro in via precauzionale. L’istituto bancario si rifiutò esponendo come giustificazione il probabile danneggiamento del quadro causato dall’umidità dei sotterranei. Il raid americano del 5-6 agosto 1945 bruciò fino alla fondamenta la casa di Yamamoto Koyota. Così Vaso con cinque girasoli e altre inestimabili opere pittoriche sono andate perdute per sempre.
3 – Quadri delle facoltà (Fakultätsbilder), Gustav Klimt, 1899-1907.
Forse Quadri delle facoltà (anche noti come Dipinti per l’Università di Vienna) fu uno dei progetti più ambiziosi dell’intera attività artistica di Klimt. L’ateneo viennese commissionò al pittore austriaco una serie di tre dipinti, ognuno dei quali avrebbe dovuto rispecchiare lo spirito delle tre principali discipline, facoltà se preferite: medicina, filosofia e giurisprudenza. Gli accademici avevano aspettative altissime. Rimasero presto delusi. Pretesero una glorificazione delle tre facoltà ma Klimt diede loro ben altro. Il pittore esaltò l’arroganza della percezione umana, l’egocentrismo futile di chi pensa di poter governare ogni aspetto della vita terrestre.

L’artista azzoppò la medicina, che nella sua visione non poteva assolutamente impedire la morte. Ridimensionò la filosofia che, per quanto necessaria e lodevole, rendeva sempre più chiaro all’uomo i limiti della sua ragione, instradandolo sulla via dell’infelicità. Infine accusò la giurisprudenza di non essere all’altezza del male commesso dalle persone. Le opere non piacquero all’Università di Vienna che chiese un rimborso spese allo stesso Klimt. Un suo mecenate pagò per lui e trattenne i Quadri delle facoltà.
Quando i nazionalsocialisti si impadronirono dell’Austria, scattò la requisizione delle opere d’arte di maggior valore. Klimt piaceva al Führer dunque la sua arte non fu considerata “degenerata”. Per proteggerli, il nuovo governo depositò la serie di quadri nel castello di Immendorf, in Austria, nel 1943. Due anni dopo, i tedeschi in ritirata bruciarono la residenza. Gli Alleati non trovarono mai i resti dei dipinti tra le macerie incenerite del castello. Come magra consolazione, rinvennero delle fotografie sui dettagli dei quadri.
4 – Cristo nella tempesta sul mare di Galilea (Christus in de storm op het meer van Galilea), Rembrandt, 1633.
Il dipinto seicentesco, che raffigurava il miracolo di Gesù che placa le acque del mare di Galilea, era l’unico paesaggio marino di Rembrandt di cui ci era rimasta traccia. A differenza di tutte le altre opere andate perdute fin qui descritte, in questo caso la Seconda guerra mondiale non c’entra un bel niente. A causare la scomparsa del rarissimo quadro è stato un furto, anzi, il più famigerato dei furti d’arte. Nel 1990 due uomini saccheggiano l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston. Nella refurtiva rientrò anche il Cristo nella tempesta del pittore fiammingo.

Sette anni dopo, nel 1997, una soffiata alla polizia fece credere a tutti che il caso si potesse finalmente risolvere. Quando gli agenti irruppero nel magazzino in cui ipoteticamente doveva trovarsi la tela, dovettero rammaricarsi. Ancora oggi nessuno sa dire che fine abbia fatto, ma i criminologi sostengono come sia irragionevole il ritrovamento dell’opera d’arte. Questo perché nella storia non esistono casi di dipinti rubati e ritrovati (integri) trent’anni dopo il furto.
5 – Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, Caravaggio, 1609 (forse 1600).
Una delle ultime fatiche di Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, fu la Natività con San Lorenzo e San Francesco. Scena dipinta durante il suo breve ma tutto sommato spensierato soggiorno siciliano (ultime supposizioni anticipano la realizzazione del quadro di nove anni, quando il pittore milanese viveva ancora a Roma), la Natività fu una sorta di testamento artistico per Caravaggio. Infatti, se dovessimo dare retta alla versione ufficiale dei fatti, il pittore diede vita al quadro un anno prima della nota dipartita.

La tela comunque ebbe una vita propria abbastanza travagliata, un po’ come quella del suo autore. Commissionata per il culto di San Lorenzo e San Francesco, l’opera fu collocata nell’oratorio di San Lorenzo a Palermo. Nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 due scagnozzi della mafia siciliana trafugarono il Caravaggio. Lo fecero in malo modo, a testimonianza dell’impreparazione e dalla barbarie dell’atto criminoso. La tela fu letteralmente squarciata dalla cornice e arrotolata in un tappeto. Sul “dopo” sono nate congetture di ogni tipo. Le più attendibili sono egualmente tristi. La prima ipotesi vede la Natività di Caravaggio finire in una stalla, prima rosicchiata dai topi e poi data alle fiamme. La seconda versione è incentrata sul racconto di un boss della mafia. Secondo quest’ultimo il quadro sarebbe stato venduto in Svizzera, ad un trafficante d’opere d’arte.